Quando lo scorso febbraio Emilio Ravel, giornalista, ci ha lasciato, molti colleghi hanno voluto salutarlo dalle pagine dei quotidiani, ricordando sopra tutto la sua ventennale attività come narratore del Palio di Siena. Ora, in quelle trasmissioni Rai certamente lui aveva portato un modo nuovo di raccontare, un modo che consentisse anche ai forestieri, se non di capire, per lo meno di intuire questa festa straordinaria e feroce, mostrandone i retroscena, attingendo a quell’infinito mare delle storie che da secoli scorre sotto la grande giostra senese.
Ma quello che mi sembra importante sottolineare è quanto Ravel abbia contribuito al radicale cambiamento del giornalismo televisivo con trasmissioni come Tv7, Odeon, Colosseum. In particolare Tv7 segnò un vero cambiamento di rotta sin dal suo primo apparire il 20 gennaio 1963. Era un rotocalco televisivo nato dalla costola del Tg1, un’appendice settimanale che si occupava di politica, cultura, spettacolo, cronaca e sport, tutto con servizi brevi di circa 15’, tutti firmati dai vari giornalisti che apparivano anche in video; si chiamavano Corrado Augias, Andrea Barbato, Gianni Bisiach, Furio Colombo, Raniero La Valle, Arrigo Levi, Giorgio Vecchietti e poi Tullio De Mauro, Gianni Serra, Ugo Gregoretti e anche Pasolini che girò per Tv7 un reportage d’autore sull’India.
Il tg era conformista, rigido, questa trasmissione – guidata da Brando Giordani a partire dal 1966 – affrontava in modo critico temi scottanti: droga, mafia, emigrazione, aborto, manicomi. La censura Rai non tardò ad intervenire: nel 1967 un servizio di Furio Colombo sui bombardamenti americani in Vietnam portò alle dimissioni del direttore del tg, Fabiano Fabiani; due anni dopo un’inchiesta di Sergio Zavoli sul Codice Rocco venne bloccata dal consiglio d’amministrazione, esplose allora il primo sciopero dei giornalisti Rai e il presidente dell’azienda, Aldo Sandulli, fu costretto a dimettersi.
Emilio Ravel alla Rai aveva cominciato a lavorarci ragazzo, imparato il mestiere da Vittorio Veltroni (il padre di Walter), la fantasia da Ugo Gregoretti, il piacere di lavorare in tandem da Brando Giordani, il coraggio di provarci sempre e tener duro dalla vita: cioè da sé stesso. Ravel era un compagno di lavoro ideale: educato, colto, puntuale, spiritoso.
Insieme abbiamo lavorato spesso, pubblicando un libro e registrando delle trasmissioni; l’ho avuto addirittura come attore, bravissimo, nella parte di un giornalista che intervistava una panchina che ne aveva viste di tutti i colori – un testo surreale scritto negli anni Quaranta da un giovanissimo Federico Fellini.
Dunque Ravel anche attore e prezioso scrittore, ma sopra tutto giornalista.
In un’intervista di pochi anni fa, registrata da Umberto Casella, raccontava dell’ incontro con il direttore generale della Rai Ettore Bernabei, che gli aveva detto, dopo aver visto un suo servizio sulla Calabria:
Sono più vecchio di lei, mi permetta un consiglio. Un giornalista deve sempre dire tutta la verità, per dura che sia. Ha però il dovere di lasciare un filo di speranza; non una speranza generica, quella non serve a niente, ma la speranza concreta che lottando, faticando, le cose possano cambiare.
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